Aspettando il Salone del Gusto: i 10 prodotti che vorrei trovare – Nicola

16 ottobre 2014
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Mancano meno di due settimane a uno degli appuntamenti golosi più attesi: il Salone del Gusto – Terra Madre di Torino. L’Associazione Italiana Food Blogger, in collaborazione con Gente del Fud – Pastificio Garofalo ci ha invitati a partecipare all’evento. Un’occasione così non potevamo farcela scappare, tanto più a Torino, città dove ho passato due bellissimi anni universitari e dove ho scoperto una passione per la buona tavola. Mi hanno chiesto una lista di dieci prodotti che voorrei trovare al Salone. Una scelta difficile in cui non mancherà il Piemonte, e tanto meno la mia Liguria.

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CASTELMAGNO D’ALPEGGIO – Una delle prime specialità che ho incontrato a Torino è stato il Castelmagno, formaggio vaccino a pasta dura con piccole aggiunte di latte di capra e di pecora. Il Castelmagno d’alpeggio (diverso da quello di valle) porta con sé una storia che affonda le radici nel Medioevo per arrivare sulle tavole eleganti d’Europa nell’Ottocento. Da neofita l’ho assaggiato per la prima volta crudo trovandolo gessoso, niente di che. Il meglio, nifatti, il Castelmagno lo dà in cucina, ad esempio sciolto con un po’ di burro e di latte per condire gnocchi o tajarin. Da allora è stato amore.

BRUSS – Un’altra specialità piemontese difficile da trovare in giro è il bruss. Questo preparato veniva prodotto in famiglia facendo fermentare il latte e gli avanzi dei formaggi sbriciolati. Dopo circa due mesi la fermentazione veniva fermata aggiungendo un goccio di grappa. Per apprezzarlo bisogna amare i sapori forti e iniziare a piccole dosi.

PRESCINSEUA – Come non parlare del latticino più caratteristico della Liguria? La prescinseua (detta anche cagliata o quagliata) si ottiene facendo rapprendere il latte di vacca acidificato, eventualmente con l’aggiunta di fermenti lattici.La massa viene poi filtrata e messa in vaasetti di plastica (un tempo di coccio). Al palato si rivela un po’ una via di mezzo tra lo yogurt e la ricotta. A casa la mettiamo un po’ dappertutto. La prescinseua, infatti, è essenziale nella torta pasqualina e, come si faceva un tempo, la mettiamo anche nella focaccia al formaggio. Se avanza la mettiamo nel polpettone (non troppa, dà un gusto acidulo) e – non me ne vogliano i puristi – per allungare il pesto.

PATATA QUARANTINA – Ammetto di aver accolto la patata quarantina con un certo scetticismo: cosa avrà di speciale un tubero rispetto a un’altro? E invece si è aperto un mondo. Al di là della differenza fondamentale tra patate bianche, gialle e rosse, la Quarantina ha un gusto tutto suo. Questa patata, che veniva coltivata nei terreni sabbiosi delle montagne liguri, ha rischiato quasi di estinguersi e ancora oggi la richiesta spesso supera la produzione. Viene bene nello stoccafisso accomodato, bollita a fette con le trenette al pesto e pure nella torta baciocca, tipica delle valli dell’Aveto, Stura e non solo,.

SARASSO/SARAZZU. Restiamo in Val d’Aveto.Negli anni Novanta questo territorioi attraversò un periodo di crisi: meno turismo invernale, riduzione del mondo contadino al minimo. Tuttavia non è mancato chi ha voluto riprendere la tradizione casearia. Ed ecco che è riapparso il Sarasso (il caseificio Valdaveto lo ha registrato come Sarazzu). Il sarasso è una ricotta salata stagionata: si può conservare circa due mesi e un minimo di muffa esterna è normale. D’inverno è buonissimo sulla polenta, d’estate si può apprezzare in insalata a dadini (può sostituire la feta) o addirittura con l’anguria.

MONTEBORE – Ancora formaggi, ma cambiamo valle spostandoci in val Borbera, zona di confine tra Liguria e Piemonte ricca di castelli, centri storici e sapori. A Mongiardino Ligure, infatti, esiste il Montébore, un formaggio di latte misto (vacca, pecora, capra) dalla caratteristica forma che ricorda una torta nuziale. La storia ci porta alle nobili feste del XV secolo, precisamente al matrimonio di Gian Galeazzo Sforza e Isabella d’Aragona, quando fu l’unico formaggio servito ai commensali. Dimenticato negli anni Sessanta, il Montébore (mi raccomando l’accento) è tornato alla luce con Slow Food e l’Agriturismo Vallenostra, attualmente unico produttore. Noi siamo andati a trovarlo: ci ha colpito la modernità dello stabilimento nene abbinata a un prodotto così ricco di storia. E poi gli assaggi… il Montébore è buonissimo a media stagionatura, ma questa è un’opinione del tutto personale…

CULATELLO DI ZIBELLO – Specialità emiliana (Zibello è una cittadina in provincia di Parma), il culatello è uno dei salumi italiani più nobili e più rari. Si tratta della noce, la parte più pregiata del prosciutto, trattata con delicatezza e maestria. Il culatello, infatti, si ricava da maiali allevati appositamente e da una sola delle loro cosce (quella che resta più spesso a riposo). Anche il clima nebbioso della Val Padana migliora questo prodotto. Il risultato è un salume delicato, ma ricco di aromi e sapori. Una volta assaggiato è difficile non cercarlo di nuovo, nonostante il prezzo per ovvie ragioni… adeguato.

CROXETTI/CORZETTI DI LEVANTE – Torniamo alla mia zona di origine, il Tigullio. Qui c’è una pasta a forma di monetina: i Croxetti stampati. Possono essere bianchi, integrali, matti (cioè con farina di castagne), a volte arricchiti con aromi come la maggiorana. La produzioone di questo formato di pasta inizia nel tardo medioevo: le famiglie nobili facevano incidere il loro stemma sulla pasta e una croce sull’altro lato (da cui il nome). L’uso passò poi nelle famiglie comuni dove il ruolo di stampatrici spesso veniva lasciato alle bambine. Oggi si usano le macchine raviolatrici, anche se nei negozi più forniti di casalinghi gli stampi si trovano ancora. Ricordo che i croxetti di Levante sono diversi da quelli della Valpolcevera, buoni anch’essi, ma più piccoli e non stampati, con una forma a 8.

SCIROPPO DI ROSE – Un prodotto quasi dimenticato dai genovesi è lo sciroppo di rose artigianale realizzato con infuso di petali (alcuni tipi come la muschiata), zucchero e un poco di limone, senza coloranti né conservanti. Eppure Genova ha avuto una grande tradizione confettiera legata ai petali di rose (un niome per tutti: Romanengo). Oggi lo sciroppo è tornato a vivere grazie ai produttori dell’entroterrra: Maria Giulia Scolaro e Luca Dalpian per citarne un paio. Si beve diluito in acqua in piccoli bicchieri (come si faceva un tempo), oppure viene bene anche sul gelato (specie il fiordilatte) dove dona una nota di colore. Alcuni ‘osano’ diluirlo in un vino bianco leggero tenuto in fresco: si gusta volentieri anche così.

CANESTRELLETTO DI TORRIGLIA – Per chiudere ecco un tipico fine pasto tradizionale genvese: i canestrelli. O meglio: i canestrelletti di Torriglia. La ricetta originale è ricca di burro, uova e un goccino di rum. L’origine di questo dolce risale al Medioevo quando veniva venduto nei mercati o sui sagrati delle chiese dove costituiva una vera golosità popolare.Un canestrello stilizzato si trova addirittura in alcune monete genovesi del XIII secolo come simbolo di abbondanza. Il canestrelletto ha ottenuto il riconoscimento di Prodotto Agroalimentare Tradizionale diventando uno dei simboli della gastronomia ligure.

 

One Response to Aspettando il Salone del Gusto: i 10 prodotti che vorrei trovare – Nicola

  1. stefania on 18 ottobre 2014 at 20:26

    Meraviglioso. Conosco solo il culatello di Zibello. Ne avrò di lavoro da fare al salone! Grazie per aver contribuito a farmi emergere dall’ignoranza!

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