Artusi, il cous cous
e Chef Kumalè

21 giugno 2011
By
Pellegrino_Artusi

Positivista, Pellegrino Artusi come uno scienziato sperimentò di persona ogni piatto inserito nella sua opera

A 150 anni dall’unità d’Italia e a 100 dalla morte di Pellegrino Artusi pochi sanno che colui che ha avuto il merito di unire il nostro Paese a tavola definì il cous cous un piatto della tradizione italiana. A farlo notare, sabato sera al Suq di Genova, è stato Vittorio Castellani, in arte Chef Kumalè, che da poco ha pubblicato il suo ultimo libro, “Nuvole di Drago & Granelli di Cous Cous“. Castellani non è un cuoco ma un giornalista che organizza eventi e collabora con prestigiose testate come il Venerdì di Repubblica. Vive nel torinese e da anni è un viaggiatore e conoscitore dei sapori del mondo.

Torniamo ad Artusi: nel suo celebre manuale “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” (1891) inserì la ricetta del cous cous tra le minestre in brodo: Il Cuscussù è un piatto di origine araba che i discendenti di Mosè e di Giacobbe hanno, nelle loro peregrinazioni, portato in giro pei mondo, ma chi sa quante e quali modificazioni avrà subite dal tempo e dal lungo cammino percorso. Ora è usato in Italia per minestra dagli israeliti, due de’ quali ebbero la gentilezza di farmelo assaggiare e di farmi vedere come si manipola. Io poi l’ho rifatto nella mia cucina per prova, quindi della sua legittimità garantisco; ma non garantisco di farvelo ben capire.

Quello che colpisce è la curiosità di questo elegante critico di fine ottocento. Artusi assaggiava e preparava i piatti in prima persona, un tratto della sua cultura positivista allora assai diffusa. Ma colpisce anche l’ apertura mentale nell’inserire un piatto di origini estere nella “summa” culinaria dell’Italia unita.

Il “sì alla polenta no al cous cous” viene smentito dal padre unificatore della cucina italiana. Questa semola, infatti, ha una sua italianità un po’ come la polenta affonda le radici nella “globalizzazione” del XVI secolo, quando Colombo portò in Europa patate, pomodori  e mais, oggi base di molti piatti tipici. Il cous cous non è arabo ma del Maghreb (Marocco, Mauritania, Libia, Tunisia, Algeria). Oggi in Italia consumatori abituali di cous cous sono milioni e una delle più grandi fabbriche di cous cous in Europa si trova intorno a Ferrara. In Sicilia è addirittura un piatto tipico e ogni anno, a San Vito lo Capo, c’è un festival a esso dedicato: qui i pescherecci imbarcavano marinai di una e dell’altra parte del Mediterraneo. Gli uomini, si sa, quando non combattono si scambiano le ricette.

Le diffidenze, però, resistono, se non sono addirittura cresciute. Le novità, si sa, fanno paura: Bonifacio VIII minacciò scomuniche a chi beveva caffè (arabo) e gli spagnoli considerarono il mais un cibo per animali (ancora oggi è pressoché assente dalla loro cucina). Per non parlare della melanzana, “mela insana”, che si credeva velenosa e oggi è protagonista di meravigliose capponate, come il zaalouk che Chef Kumalè, mentre spiega tutto questo, sta cucinando per noi. Se la politica nei secoli ha diviso i popoli, la cucina unisce. Accade sulle tavole delle coppie miste, dove le tradizioni culinarie, più che alternarsi, si contaminano e si fondono. O come è accaduto a Torino in una famiglia marocchina che ha mescolato i piatti di casa a quelli del nostro Paese in un’unica teglia: uno strato di cous cous e uno strato di agnolotti, e così via… Non abbiamo ancora provato il risultato, ma alla loro bambina piaceva.

 

 

 

 

 

Chef Kumalè all’opera al Suq di Genova

 

 

 

 

Il cous cous è quasi pronto. Chef Kumalè racconta il motivo per cui avrebbe un sapore più intenso se lo mangiassimo nel Maghreb: lì, infatti, verrebbe cotto a vapore assorbendo i profumi delle verdure e della carne mentre noi, seguendo la ricetta francese, siamo abituati a cuocerlo in acqua come si fa con la pasta, e quindi risulta più neutro.

Preparare la semola del cous cous  a casa è facilissimo. Per 5-6 persone vi servono una scatola di cous cous da 500g (quello precotto del supermercato), 300 ml di acqua e un po’ di sale. Si fa bollire l’acqua salata (sembra poca ma la quantità è giusta). Si mette la semola in un’ampia ciotola e si versa su l’acqua bollente cercando di bagnarla tutta e si lascia riposare qualche minuto. A questo punto con le mani si lavora fino a che non è totalmente senza grumi, sgranata come sabbia. Il condimento è libero, lo lasciamo alla vostra fantasia. Per il nostro cous cous vi rimandiamo a un pezzo di qualche tempo fa. La preparazione della semola lì è diversa. Questa è altrettanto buona e molto più facile e leggera.

Nicola Ganci, Erica Repaci

Tags: , , , ,

One Response to Artusi, il cous cous
e Chef Kumalè

  1. […] delle nostre civiltà. Lo narrano l’olivo, i vini francesi, italiani e libanesi, il cous cous maghrebino che “sbarca” in Sicilia ed entra nell’Artusi, “bibbia” […]

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *